Quando pensiamo ai deepfake, cioè i video di persone famose a cui fanno dire qualsiasi cosa grazie a sistemi di clonazione con l’intelligenza artificiale, probabilmente ci vengono in mente i post sui social dove vari cloni di Maria De Filippi, Montezemolo e altre celebrità di vari settori ci promettono lauti guadagni con piccoli investimenti. La classica truffa con fantomatica piattaforma di moltiplicazione del denaro. Ovviamente le immagini dei protagonisti dei video vengono usate a loro insaputa, e gli interessati non hanno mai fatto quelle dichiarazioni.
Ma c’è un problema ancora più pericoloso con i deepfake, sia audio che video: l’uso di queste tecnologie per clonare amministratori delegati o manager di aziende, che a un certo punto contatteranno l’ufficio contabile per far partire bonifici e pagamenti su conti correnti che poi si riveleranno essere di truffatori.
Quando i criminali informatici si insinuano nei sistemi aziendali, possono rimanere silenti e in ascolto per settimane, studiando la situazione e facendo lavoro di intelligence per capire metodi e abitudini dei vari uffici. A un certo punto agiscono e possono farlo inviando audio o video falsi di un dirigente e, appunto, convincere il destinatario a compiere un’azione, spesso un pagamento urgente. Ma possono anche richiedere password o dati segreti, rendendo l’attacco ancora più dannoso.
Purtroppo, questo non è il futuro ma sta già accadendo e i deepfake saranno sempre più credibili, sempre più interattivi e sempre più pericolosi. Ad oggi, l’unico modo di difendersi è usare il senso critico dubitando di tutto, analizzando con calma ogni situazione senza farsi distrarre dal logorio della vita moderna. Anche introdurre dei passaggi obbligati per rilasciare un bonifico con doppia o tripla verifica può salvare il portafoglio, e pazienza se la burocrazia aumenta. Inoltre le aziende devono investire in formazione per sensibilizzare i propri dipendenti sui rischi legati ai deepfake e altre forme di ingegneria sociale. Evitare un furto di migliaia di euro vale la candela.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente sulla testata TrafficJam
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