C’è un negozio di elettrodomestici, nella piccola cittadina dell’estremo nordest d’Italia dove vivo, incastonata fra Venezia, l’Austria e la Slovenia, che frequento da trent’anni. E forse la mia famiglia da ancora più tempo. E no, non è morto. Nonostante Amazon, i centri commerciali, le catene, gli ipermercati e la corsa agli sconti digitali. Anzi, è più vivo che mai.
Vende frigoriferi, lavatrici, lampadine. Non c’è nulla di “sexy” nelle vetrine. Nessun display con il 70% di sconto. Nessun influencer che ne racconti le gesta. Eppure, resiste dove altri hanno fallito. Non perché sia più veloce. Non perché sia più economico. Non perché abbia una strategia di funnel marketing. Resiste perché ha scelto di non diventare una macchina.
Quando vai lì, la domanda che ti fanno non è: «Quale modello vuoi?» ma «Cosa ti serve davvero?». Ti chiedono cosa ci dovrai fare, che spazi hai in casa, quanti siete in famiglia. Capiscono che un frigorifero non è un codice prodotto ma un pezzo di vita quotidiana. Che se ti si rompe la lavatrice la domenica mattina, non te ne frega molto di un form di sostituzione prodotto, di un chatbot, di un numero d’ordine o di un tracking number: vuoi solo qualcuno che venga a casa e la sistemi.
Questa, più che una strategia, è cultura. La stessa cultura che nella Digitalogia chiamo consapevolezza: sapere che non tutto si può scalare, non tutto si può ottimizzare. Che la memoria umana non è obsoleta, è preziosa. Perché nessun algoritmo sa che abiti ancora in quella casa con impianti fragili, o che hai due figli adolescenti che maltrattano gli elettrodomestici.
Viviamo tempi da Sonnambuli Digitali: camminiamo tra i pixel come se sapessimo dove andare, ma abbiamo dimenticato il perché. Sappiamo cosa abbiamo comprato, ma non più perché ne avevamo bisogno. È un mondo di dati, ma privo di conoscenza.
In quel negozio di provincia, invece, la conoscenza è ancora una forma di capitale. Non ti vendono il top di gamma per forza, ma quello che funziona per la tua famiglia. Non ti infilano servizi aggiuntivi inutili, ma ti installano quello che compri e portano via l’usato senza chiedere un centesimo. È un patto silenzioso: loro si ricordano di te, tu ti ricordi di loro. E questo è il punto: la tecnologia è utile finché non ci fa dimenticare come si sta in mezzo agli altri. Finché non ci fa dimenticare che non siamo solo un carrello pieno di articoli ma persone, vicini di casa.
Amo il digitale. Uso Amazon. Sfrutto le AI. Ma non scambierei mai quella botta di umanità per una consegna in 24 ore. Perché è nei momenti difficili, quando la lavatrice smette di girare o il frigorifero smette di raffreddare le birre, che capisci quanto sia inutile un chatbot e quanto sia preziosa una mano che suona alla porta.
Ogni tanto passo di lì anche solo per dire ciao. Perché questo fanno i vicini: si salutano. E forse, in fondo, questa è l'unica "customer journey" che conta davvero.
La verità è che possiamo costruire macchine sempre più intelligenti. Ma dovremmo ricordarci di essere, prima di tutto, umani.
— Sono l’autore di Digitalogia, già Bestseller Amazon in tre categorie: ‘Social Media’, ‘Introduzione alla sociologia’ e ‘Introduzione a Internet. Se queste riflessioni vi toccano, seguitemi su LinkedIn (in italiano) e Medium (in inglese).
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