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Padroni digitali e testardaggine italiana

Perché dovremmo smettere di costruire i nostri business solo su terreni digitali in affitto

Nella Silicon Valley, la velocità è sacra. Scala velocemente. Automatizza. Ottimizza. Muoviti veloce e rompi le cose (sii disruptive). In Italia, dovremmo muoverci diversamente. Abbiamo secoli di esperienza con “padroni di casa” che cambiano le regole. Eppure continuiamo a fidarci di quelli digitali.

Ho passato più di trent’anni ad aiutare aziende italiane a costruire la loro presenza digitale. Dai miei primi giorni con l’Olivetti PC1 alla lenta crescita dei siti web nelle campagne del Friuli, ho visto un pattern: non ci buttiamo sulle tendenze. Non consegniamo subito la nostra identità aziendale alle piattaforme. Non per strategia, per istinto. O, almeno, non lo facevamo.

Quando scrivo queste riflessioni per il pubblico americano su Medium, mentre preparo “Digitalosophy – An Italian Perspective on Our Digital Age”, la versione per il mercato USA del mio libro “Digitalogia”, mi rendo conto di quanto questo approccio suoni rivoluzionario in un contesto dominato dalla Silicon Valley. Là, proporre di rallentare e possedere i propri strumenti digitali è quasi eretico. Qui da noi è quello che facciamo da sempre, solo che non ci eravamo mai resi conto che fosse una filosofia, buona anche online.

Dove le startup americane sono ossessionate da reach e follower, molti artigiani italiani tengono ancora la lista dei clienti su un quaderno. Dove i consulenti elogiano il personal branding, i negozianti italiani si affidano al passaparola e a decenni di presenza nella stessa strada. Potreste ridere, se foste americani. Ma loro sono ancora lì. Niente contro gli Stati Uniti, beninteso. Quasi tutto il mondo digitale arriva da là, e sapendo quanto io ami il mondo digitale, è la mia vita e il mio lavoro, da sempre.

Back to Home non è nostalgia. È un principio della mia Digitalogia (Digitalosophy in USA): se non controlli i tuoi strumenti, non controlli la tua storia. Se il tuo business vive solo su Instagram, muore il giorno che l’algoritmo ti seppellisce. Se i tuoi pensieri esistono solo su X o Threads, spariscono appena qualcun altro compra la piattaforma. Se i tuoi contatti vivono nel CRM di qualcun altro, non sono tuoi. Forse un po’ esagerato dirlo così, ma mai dire mai.

Ispirato da “Fuga da Facebook. The back home strategy” di Marco Camisani Calzolari, che aveva già capito tutto anni fa, e oggi ha firmato anche la prefazione al mio libro. Già allora lanciava l’allarme sul terreno in affitto digitale.

In Italia, siamo sempre stati scettici verso i padroni digitali. Forse non li chiamiamo così, ci piacciono semplicemente le cose che possiamo toccare. Costruiamo siti web e li aggiorniamo raramente, ma li possediamo. Compriamo domini con i nomi dei nostri figli, giusto per sicurezza. Esportiamo le nostre email da Mailchimp “per avere un backup, giusto per sicurezza.” Non è resistenza. È memoria. Abbiamo visto abbastanza sistemi crollare. Ci piacciono ancora le copie cartacee di molte cose. Attenzione, ho detto copie, dobbiamo comunque digitalizzare tutto il digitalizzabile.

Quando Facebook ha cambiato il suo algoritmo nel 2018, le piccole aziende hanno perso metà della loro portata da un giorno all’altro. Così, di botto. Tutto il loro investimento digitale, sparito, a meno che non pagassero per riaverlo. Ricordate Business Manager? In Italia, quel momento ha rafforzato un vecchio istinto: non costruire la tua casa su terreno in affitto (o peggio, prestato, gratis, con contratti che non hai letto ma hai firmato, con un click).

Ora, mentre la stanchezza delle piattaforme si diffonde e i padroni digitali cambiano le regole ogni settimana, quella mentalità testarda e analogica si rivela essere un vantaggio. Tecnologia lenta. Backup locali. Presenza web fuori dai giardini recintati. Non rivoluzionaria, solo responsabile. Solo sensata.

Quindi no, Back to Home non è una ritirata. È un ritorno alla proprietà. A trattare il tuo sé digitale come una casa vera: qualcosa che costruisci, mantieni e difendi. Senza subire il Social Zombing, senza dipendere dai capricci di algoritmi che non controlliamo.

Perché il futuro non riguarda solo la portata. Riguarda le radici.

Spero, infine, che questo mio approccio italico, questa mia Digitalogia, possa fare breccia anche negli USA, con la divulgazione che ho iniziato a fare anche lì, per ora attraverso gli articoli su Medium. Da cui anche questo ha preso spunto, con un percorso al contrario: scritto per il mercato americano e poi localizzato per noi, qui, in Italia.


— Sono l’autore di Digitalogia, già Bestseller Amazon in tre categorie: ‘Social Media’, ‘Introduzione alla sociologia’ e ‘Introduzione a Internet. Se queste riflessioni vi toccano, seguitemi su LinkedIn (in italiano) e Medium (in inglese).

Gabriele Gobbo

Gabriele Gobbo è, assieme al fratello Ivan, il fondatore di Italiamac, il principale e più vasto Apple User Group d’Italia riconosciuto da Apple Inc. Utente Apple da sempre, ha iniziato con un Macintosh LC con la strabiliante potenza di 2MB di Ram. Gabriele è un profondo conoscitore delle “cose della rete” e attraverso la sua azienda MacPremium sviluppa progetti e strategie digitali evolute per le aziende. Dalla presenza sul web al social marketing, dalle attività non convenzionali al marketing virale. Sovente tiene seminari sulle strategie di marketing per la promozione di app e aziende. Ha ideato il MacDays organizzato presso la Fiera di Pordenone. Oggi è anche conduttore della trasmissione televisiva FvgTech dedicata alla tecnologia.

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