Il mio MacBook Pro nuovo di zecca aveva un problema strano. Ogni pochi minuti si bloccava per cinque secondi: abbastanza per farmi impazzire, ma non abbastanza per essere diagnosticabile. Nessun crash, nessun avviso, nessuna soluzione ovvia. Così ho chiesto a ChatGPT. Non a un motore di ricerca, non a un tecnico umano: a un assistente di intelligenza artificiale.
Uso Mac dai primi anni ’90. Ho persino fondato Italiamac, una delle comunità Mac più antiche d’Europa. Quindi non sono proprio nuovo al troubleshooting dei dispositivi Apple. Ma questa volta le cose erano diverse.
Ho descritto i sintomi. Ho caricato il report di EtreCheck. Ho spiegato la configurazione in modalità clamshell, l’alto utilizzo della CPU dei processi in background come mds e backupd, il pattern di blocco durante l’uso di Safari. In pochi minuti, non ho ottenuto solo consigli generici, ma risposte contestuali: suggerimenti per disabilitare l’indicizzazione di Spotlight sui drive esterni, indicazioni su come si comportano i daemon di sistema sotto certe condizioni di carico, e idee che non avevo considerato.
Ha funzionato.
L’AI non mi ha solo dato la risposta: mi ha aiutato a pensare. Ha filtrato il rumore, ha spiegato la logica, mi ha guidato attraverso la nebbia della complessità digitale. Ed è lì che mi è scattato qualcosa: continuiamo a parlare di AI che sostituisce i lavori. Ma forse l’AI sta anche sostituendo l’impotenza.
Anche per utenti esperti, i sistemi di oggi possono essere un labirinto. Avere l’AI come co-pilota non significa sostituire gli esseri umani: significa potenziare la chiarezza. In un paese come l’Italia, dove le competenze digitali sono ancora carenti secondo gli indici europei, questo cambio di prospettiva è fondamentale.
Penso ai miei clienti che si sentono sopraffatti dalle tecnologie che dovrebbero semplificare il loro lavoro. Penso alle piccole aziende italiane che non possono permettersi un reparto IT interno. Penso a chi abbandona progetti digitali perché “è troppo complicato”, sia che usino Mac, PC o qualsiasi altro computer. L’intelligenza artificiale, usata così, non è la minaccia che ci raccontano: è un amplificatore di autonomia.
Non si tratta di eliminare l’assistenza umana, ma di democratizzare l’accesso alle soluzioni. Se l’AI può guidare anche un veterano del Mac attraverso un problema complesso, può sicuramente aiutare chiunque a superare quella sensazione di inadeguatezza digitale che frena l’innovazione nel nostro Paese.
Forse il vero futuro del supporto non è un help desk. È una conversazione con un algoritmo che ti aiuta ad aiutare te stesso.
Non è distopico. È efficiente. È umano.
Qui c’è il mio articolo approfondito su Italiamac.it dove racconto tutta la storia.
— Sono l’autore di Digitalogia, già Bestseller Amazon in tre categorie: ‘Social Media’, ‘Introduzione alla sociologia’ e ‘Introduzione a Internet. Se queste riflessioni vi toccano, seguitemi su LinkedIn e Medium (in inglese).
Altro che nativi: i ragazzi camminano nel digitale come sonnambuli. E noi glielo lasciamo fare.…
È l’unico spazio digitale che ti appartiene davvero. Da anni si ripete che i siti…
Forse ci serve uno sguardo più lento, più umano. Forse proprio come quello italiano. Passiamo…
Chi mi segue sa di cosa parlo: un digitale che va capito, e non subito…
È uscito Digitalogia, il mio nuovo libro. Un testo diretto, sincero e senza filtri, che…
Ho avuto il grande piacere di partecipare alla giuria della sezione “Digitale e Nuove Tecnologie”…