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Cambridge Analytica, sicuri il problema sia solo tecnico o c’è molto altro?

Tutti i giornali strombazzano un presunto furto di dati legato a Facebook e Cambridge Analytica, qualcuno si spinge fino a parlare di un data breach (personalmente ritengo non sia esattamente nessuno dei due); una cosa è certa, la questione è scottante e deve far riflettere.

Ma io ho dei quesiti che spostano la questione più al largo, nello sterminato mare dei comportamenti sociali. Per questo sostengo sia un problema più ampio della parte meramente tecnica e informatica. Ma anche più vasto delle questioni legali, degli accordi e dei contratti di utilizzo che chi usa questi dati sigla con Facebook.

Perché ricordiamoci che Cambridge Analytica non ha “rubato” i dati nel senso stretto del termine, ma li ha raccolti (e ricevuti) con il benestare di Facebook (per così dire) ma non è il caso di entrare i noiose spiegazioni altamente tecniche, di sicuro non sembra abbia penetrato i server di Facebook con un attacco hacker.

Magari si può parlare di un agreement breach (o breach of agreement), sempre che non si scopra che all’epoca le regole fossero più lacunose, quindi non sussisterebbe nemmeno la violazione. Ma qui la cosa si complica, quindi  vogliate scusarmi se semplifico all’osso.

 

Ma andiamo con ordine:

Che differenza c’è fra “schedare” gli utenti per convincerli a votare un certo partito o farlo per convincerli a comprare un certo prodotto? Credo che  (far finta di) scandalizzarsi per il caso “Facebook / Cambridge Analytica” di questi giorni sia aria fritta. Dov’erano giornali e TV quando molti altri facevano la stessa cosa ma per vendere di più? Si sono accorti solo oggi che Facebook (e tutti gli altri) raccolgono dati per venderli agli inserzionisti?

 

E’ palese che l’indignazione è salita solo perché di mezzo c’è la parola “politica”… e comunque il microtargeting si faceva anche prima di internet, faccio un esempio: andare a fare un comizio politico a Udine e dire che avrà più potere rispetto a Trieste e poi andare a Trieste a dire che non perderà potere rispetto a Udine, è sempre lo stesso concetto: dico a piccoli gruppi di persone targettizzate (in questo caso accumunate da residenza, campanilismo, orientamento politico) una cosa che a loro piace sentire anche se in netta contraddizione con quella detta il giorno prima.

 

Quindi mi chiedo:

  • Dove sta esattamente la differenza?
  • Dove è il limite?
  • Il problema è causato da Internet oppure si è sempre fatto?
  • Se volontariamente dico ad un sito che mi piace sparare alle lattine e grazie a questo dato mi compare una pubblicità di armi piuttosto che una di banane, è lecito?
  • Sono gli utenti pigri e disattenti quando regalano i loro dati? E se lo fanno, perché non bisogna usarli?
  • Il problema è nel microtargeting basato sui dati o, forse, è nel dire ad ognuno quello che vuole sentirsi dire?

 

Ma la domanda resta, dovrebbero essere puniti solo quelli che usano queste strategie per pubblicità politica o tutti quelli che le usano per qualsiasi tipo di pubblicità?

Forse il problema da risolvere è di etica, di codici deontologici e di rispetto per gli utenti.

 

 

Tutti i diritti riservati. Opera letteraria  protetta da certificato di deposito Patamu numero: 88284

 

Gabriele Gobbo

Gabriele Gobbo è, assieme al fratello Ivan, il fondatore di Italiamac, il principale e più vasto Apple User Group d’Italia riconosciuto da Apple Inc. Utente Apple da sempre, ha iniziato con un Macintosh LC con la strabiliante potenza di 2MB di Ram. Gabriele è un profondo conoscitore delle “cose della rete” e attraverso la sua azienda MacPremium sviluppa progetti e strategie digitali evolute per le aziende. Dalla presenza sul web al social marketing, dalle attività non convenzionali al marketing virale. Sovente tiene seminari sulle strategie di marketing per la promozione di app e aziende. Ha ideato il MacDays organizzato presso la Fiera di Pordenone. Oggi è anche conduttore della trasmissione televisiva FvgTech dedicata alla tecnologia.

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