Meno strumenti, meno fuffa, più presenza.
Dicono che non si può sfuggire al mondo digitale, e forse è vero, ma non serve nemmeno fuggire: basta guardarlo diversamente. E sì, se ve lo stavate chiedendo, il titolo probabilmente è esagerato.
La Digitalogia non è una moda grazie a dio, è un modo che ho distillato nel tempo, negli anni, di guardare la vita satura di tecnologia senza hype e senza cercare vie di fuga. Non promette disintossicazione, offre digestione.
Da qui, dall’Italia, la faccenda appare diversa: più lenta, più caotica, più umana. Ho pure scritto un articolo per Medium che si intitola Digital Digestivo, prima o poi lo faccio tornare a casa, in italiano. Non è romanticismo, è ciò che succede quando cresci con la tecnologia senza venerarla, quando costruisci abitudini intorno alle persone invece che alle piattaforme, quando usi gli strumenti senza diventare tu stesso uno strumento.
Queste riflessioni sono ovviamente nate per un pubblico americano, dove ho iniziato a scrivere in inglese su Medium con il progetto Digitalosophy – An Italian Perspective on Our Digital Age, la versione per gli anglosassoni del mio libro Digitalogia. Portare questo approccio in un luogo Silicon Valley-dipendente significa proporre qualcosa che lì potrebbe suonare eretico: un digitale più umano e sostenibile, non ossessionato dalla performance. Magari sarà una goccia nel mare, ma sapete quanto io ci tenga alla divulgazione, soprattutto umanocentrica (ci abbiamo intitolato un festival a questo concetto!).
Negli Stati Uniti per assurdo si paga per avere silenzio: app per bloccare notifiche, ritiri digital detox, calendari pieni di slot “non disturbare”. In Italia invece proviamo a fermarci, semplicemente, senza app né piani particolari: pranziamo con la famiglia, discutiamo con gli zii, ci dimentichiamo il telefono perché siamo troppo impegnati a vivere. O almeno è quello che dovremmo fare, secondo me, e in provincia, dove io abito, lo facciamo davvero, non sempre, ma lo facciamo. Digerire, non disintossicarsi: la Digitalogia vuol dire imparare a fermarsi.
È lo stesso discorso con le cose che usiamo: se spunta una nuova app di produttività, gli americani la installano subito mentre gli italiani spesso la ignorano, non per pigrizia ma per esperienza (sì, ok, anche per pigrizia). Scriviamo ancora gli appunti a mano, io di sicuro, usiamo le agende cartacee, io di sicuro, eppure arriviamo puntuali, io di sicuro. Basta rincorrere aggiornamenti: smettiamo di cercare il nuovo e impariamo piuttosto a padroneggiare quello che abbiamo già.
E poi ci sono i nostri figli, un discorso a me molto caro di cui amo parlare ai corsi, nei webinar e nelle conferenze: controlli parentali, limiti orari, filtri sui contenuti, tutto utile ma non sufficiente. Nelle case italiane vorrei che il vero “parental control” fosse un adulto nella stanza che guarda, parla, rimane presente. Meno male è abbastanza comune succeda, ma mai abbastanza, molte famiglie hanno abdicato alla tecnologia. La presenza batte qualsiasi divieto, perché nessuna app può sostituire la tua attenzione.
Non è nostalgia, è il sistema operativo culturale che nel bene e nel male secondo me è ancora latente in Italia, quello dove la voce umana vale ancora più di una notifica e dove la tecnologia serve le persone, non il contrario.
Forse la parola Digitalogia (Digitalosophy per gli USA) è già comparsa altrove, ma nessuno finora l’ha esplorata, definita, strutturata in una visione completa. Questa potrebbe essere la prima volta, e non nasce dalla Silicon Valley ma dall’Italia.
La Digitalogia non è contro la tecnologia: è qui per ricordarle qual è il suo posto, al nostro servizio e non al comando. Speriamo faccia breccia qui, ma anche in America, ne hanno più bisogno di noi, probabilmente.
Spero, che questo mio approccio, questa mia Digitalogia, possa fare breccia anche negli USA, con la divulgazione che ho iniziato a fare anche lì, attraverso gli articoli su Medium. Da cui anche questo ha preso spunto, con un percorso al contrario: scritto e pensato per il mercato americano e poi localizzato (non banalmente tradotto) per noi, per riportarlo qui, in Italia.
— Sono l’autore di Digitalogia, già Bestseller Amazon in tre categorie: ‘Social Media’, ‘Introduzione alla sociologia’ e ‘Introduzione a Internet. Se queste riflessioni vi toccano, seguitemi su LinkedIn (in italiano) e Medium (in inglese).