Hai mai sentito parlare di un Digitologo? Forse lo sei anche tu

Due parole che l’Italia tecnologica stava aspettando, ma che nessuno aveva davvero ancora definito.

Questi vocaboli forse erano già comparsi online da qualche parte, ma il loro significato no. “Digitalogia.” “Digitologo.” Cercali in rete e troverai poco o niente in Italia, a parte le ricorrenze del titolo del mio libro. Per quanto ne so, nessuno li ha mai usati, in pratica è come se avessi coniato dei neologismi, e comunque ho dato ordine al valore dei termini e alla loro correlazione.

Nel nostro Paese amiamo importare espressioni dall’inglese per tutto ciò che riguarda il mondo connesso. Growth hacking. Digital transformation. Social media manager. Ma quando si tratta della filosofia di convivere consapevolmente con la tecnologia, il vocabolario diventa confuso.

Parliamo di “trasformazione tecnologica” ma non ci chiediamo in cosa ci stiamo trasformando. Celebriamo i “nativi digitali” eppure non mettiamo in discussione se nascere immersi nella tecnologia ci renda automaticamente saggi nel suo uso. Inseguiamo il “digital detox” ignorando cosa dovrebbe essere davvero un rapporto sano con gli schermi.

Quello che manca non è un’altra app o metodologia. È un pensiero chiaro su cosa dovrebbe essere l’esistenza connessa.

Digitalogia: la filosofia che non avevamo mai chiamato per nome. Un approccio pratico per affrontare l’era tecnologica. Privilegia la consapevolezza all’automazione, il ritmo umano all’ottimizzazione, la presenza autentica alla dipendenza dalle piattaforme. Non anti-tech, ma consapevolmente connessa. In pratica la mia filosofia, da sempre.

Rispetto all’arrembante Silicon Valley, noi italiani abbiamo sempre tentato di valorizzare questo tipo di equilibrio, magari senza saperlo, grazie ai nostri pregi e ai nostri difetti, anche se non siamo immuni al sovraccarico tecnologico. In generale, vorremmo usare gli strumenti innovativi evitando di adorarli. Cerchiamo di rimanere connessi preservando noi stessi, o almeno ci proviamo. Nell’adottare dispositivi e piattaforme, spesso resistiamo all’abbandono completo dei ritmi umani. Anche se purtroppo a causa dei “padroni del vapore” che, secondo me, hanno eserciti di psicologi, ci stiamo facendo fagocitare dall’iperconnessione e, seguendo quanto ho scritto in un altro articolo, camminiamo troppo spesso online quali sonnambuli digitali.

Hai mai sentito parlare di un Digitologo? Forse lo sei anche tu

Nel frattempo, per quanto potessi vedere, la lingua italiana non possedeva un vocabolo preciso per questo approccio. Sembrava averne bisogno, io ne avevo bisogno. Per me e per tutti quelli come me.

Digitologo: la figura professionale che forse già esiste ma non lo sapevamo. Possiamo definirla quale persona che riflette criticamente sull’impatto delle tecnologie connesse sulla vita, la cultura e la società. Pratica e promuove un uso consapevole, etico e human-centered degli strumenti tecnologici. Anche in questo caso come me, e quelli come me.

Il digitologo, per fare un esempio, entra in qualsiasi azienda italiana che lotta con il sovraccarico informativo, il caos dei social media o la dipendenza da schermo dei dipendenti. Quei luoghi, quelle persone e quelle aziende che hanno spesso necessità di qualcuno che capisca sia la tecnologia sia la natura umana. Non uno specialista tecnico, ma una guida culturale. Se vogliamo.

Qualcuno che possa fare da ponte tra il “muoversi veloce in modo dirompente e rompere tutto” americano e il “forse dovremmo pensarci un po’ su” mediterraneo. Questa è una Digitologa o un Digitologo. L’espressione non esisteva prima, ma la necessità c’è da anni.

Le parole sono importanti e queste definizioni per me contano. Volevo lasciare una traccia pubblica del modo in cui sto usando questi concetti: adesso, qui, per chiunque stia leggendo. Metterli per iscritto. Renderli ricercabili. Dare loro una definizione, un tono e un ancoraggio culturale italiano.

Le espressioni danno forma al pensiero. Quando non abbiamo vocaboli chiari per concetti importanti, non possiamo discuterne adeguatamente. Finiamo con conversazioni vaghe sul “essere più consapevoli con la tecnologia” invece di strategie concrete per la coscienza connessa.

Sto sviluppando questi concetti per l’Italia: Digitalogia quale pensiero, filosofia, approccio; Digitologo/Digitologa in qualità di figura, ovviamente non medica, né accademica in senso stretto, ma che rappresenta una nuova professionalità culturale e trasversale. Che opera in veste di divulgatore, formatore, consulente e guida critica nel panorama tecnologico contemporaneo.

Lo sto facendo anche nel contesto anglosassone con Digitalosophy e Digitalosopher. Stessa filosofia, contesto culturale diverso. Questi concetti avevano necessità del loro spazio e io ho cercato di fare ordine.

Nella Silicon Valley complicano ogni cosa, persino il riposo. In Italia semplifichiamo ogni cosa, tecnologia compresa. Forse è per questo che le mie definizioni dovevano nascere qui in Italia e poi essere esportate all’estero, proprio lì dove quasi ogni innovazione tecnologica nasce.

So bene che altri potrebbero aver usato espressioni simili in contesti diversi. Significati diversi. Pubblici diversi. E va bene così.

Ma io pianto la bandierina. Non dalla Silicon Valley. Dall’Italia.

🇺🇸 In inglese su Medium


— Sono l’autore di Digitalogia, già Bestseller Amazon in tre categorie: ‘Social Media’, ‘Introduzione alla sociologia’ e ‘Introduzione a Internet. Se queste riflessioni vi toccano, seguitemi su LinkedIn e Medium (in inglese).

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