Forse ci serve uno sguardo più lento, più umano. Forse proprio come quello italiano.
Passiamo ore online, scrolliamo, tocchiamo, reagiamo. Ma quanto spesso ci fermiamo a chiederci: tutto questo cosa ci sta facendo davvero? Siamo sempre connessi, ma sempre più disorientati. La linea tra informazione e manipolazione è sfumata. Abbiamo finito per adottare, sull’onda dell’americanizzazione tecnologica, una cultura digitale ossessionata dalla velocità, dalla visibilità e dalla ricerca continua di dopamina, ma non della consapevolezza.
Lavoro nella comunicazione digitale da oltre trent’anni. Ho vissuto questa trasformazione da entrambi i lati: dietro gli schermi e dentro la società. Ho collaborato con scuole, istituzioni, aziende e famiglie. La storia è sempre la stessa. Gli strumenti cambiano, i bisogni no. Le persone non vogliono solo essere connesse: vogliono capirci qualcosa.

È da questa domanda, possiamo ancora restare umani dentro il digitale?, che è nato Digitalogia. Una riflessione concreta sul nostro comportamento online. Non è un manuale tecnico, né una lista di buoni consigli per disconnettersi. Parlo di identità digitale, di sicurezza quotidiana, dell’illusione dei “nativi digitali”, della saturazione di piattaforme e di quello che chiamo Social Zombing: attacchi coordinati alla reputazione online, guidati da algoritmi e viralità.
Ma il messaggio più importante è questo: non dobbiamo uscire dal mondo digitale. Dobbiamo svegliarci dentro. Ci serve etica, consapevolezza e responsabilità, all’altezza degli strumenti che usiamo ogni giorno. E forse ci serve anche una prospettiva diversa. Più lenta, più riflessiva, meno schiacciata dalle mode. Una prospettiva che, in fondo, l’Italia può ancora offrire.
Se tutto questo ti risuona, forse è il momento di fermarsi. Non per disconnettersi, ma per riconnettersi con un senso.
— Sono l’autore di Digitalogia, già Bestseller Amazon in tre categorie: ‘Social Media’, ‘Introduzione alla sociologia’ e ‘Introduzione a Internet. Se queste riflessioni vi toccano, seguitemi su LinkedIn e Medium (in inglese).